LA STRAGE di FAGNANO CASTELLO (la Pontelandolfo Calabrese)

L’esercito invasore savoiardo o neo-italiano nel tentativo di reprimere chiunque non accettasse di buon grado l’invasione e la vessazione italiana, decise di sedare le ribellioni di intere città dove le popolazioni si erano permesse di ribellarsi alle sevizie e all’arroganza dei soldati conquistatori, all’oppresione fiscale dei politici italiani da poco insediatisi ma già abbondantemente farabutti. Così si diede sfogo ai più bassi istinti su popolazioni inermi con decapitazioni, sevizie, roghi umani e tutto ciò che l’immaginazione di questi “eroi” creava si trasformata in realtà ed ha dato origine a una delle infinite pagine ingloriose dell’esercito italiano incapace di vincere con i forti ed arrogante e forte con i deboli. Una pagina che gli storici si ostinano a chiamare “risorgimento” per l’attesa fiduciosa in un giorno in cui l’Italia “inerme, divisa, avvilita, non libera, impotente” sarebbe risorta “virtuosa, magnanima, libera e una”, ma che a tutt’oggi così non è! Si censurò la vera storia e non per vergogna, ma per la paura che in Europa si sapesse che quello che si definiva “lotta al brigantaggio” era solo una sporca guerra di conquista combattuta non con un esercito ad armi pari ma con un esercito di contadini straccioni che volevano solo difendere quello che era loro. Ricordiamo che a tutt’oggi l’esercito proibisce l’accesso pubblico ai loro archivi storici. Si è trattato di un vero e proprio genocidio attuato su ordini ben precisi e compiuto contro i popoli del sud della penisola italica. Eppure di questi soldati, dei loro sovrani, dei loro politici, molti dei quali non conoscevano nemmeno il resto della Penisola e si esprimevano quasi sempre in francese, si parla come di liberatori del popolo meridionale dall’oppressione o come di patrioti italiani preoccupati del destino dei fratelli del Sud sotto il giogo straniero dei Borbone, nati questi, quasi tutti a Napoli e che, oltre all’italiano, parlavano da sempre correntemente il napoletano. Successivamente alla nefasta unità d’Italia, si accese una violenta risposta del popolo all’occupazione militare del Regno perché tutti si accorsero che la situazione era profondamente peggiorata. E così l’esercito invasore rispose con i suoi uomini peggiori “i macellai” come il col. Pietro Fumel che fu mandato in Calabria (nel Cosentino) per domare il “brigantaggio”. E la repressione attuata da Fumel fu spietata, perché usò i metodi più estremi per eliminare i partigiani delle Due Sicilie , ricorrendo alla tortura e al terrore, senza distinzioni tra “briganti” e “manutengoli” o presunti tali e a prescindere dalla minima osservanza di qualsiasi garanzia legale o umana. Egli decimò le bande di Palma, Schipani, Ferrigno, Morrone, Franzese, Rosacozza, Molinari, Bellusci e Pinnolo. Le esecuzioni comandate da Fumel avvenivano in pubblica piazza e lungo le strade. Le vittime venivano decapitate e le loro teste venivano impalate come avvertimento per chi aderiva o appoggiava le “bande brigantesche” , altri cadaveri venivano gettati nei fiumi. A Cirò il 12 febbraio del 1862, Fumel scrisse un proclama sulla risoluzione del problema del brigantaggio: « Io sottoscritto, avendo avuto la missione di distruggere il brigantaggio, prometto una ricompensa di cento lire per ogni brigante, vivo o morto, che mi sarà portato. Questa ricompensa sarà data ad ogni brigante che ucciderà un suo camerata; gli sarà inoltre risparmiata la vita. Coloro che in onta degli ordini, dessero rifugio o qualunque altro mezzo di sussistenza o di aiuto ai briganti, o vedendoli o conoscendo il luogo ove si trovano nascosti, non ne informassero le truppe e la civile e militare autorità, verranno immediatamente fucilati. Tutte le capanne di campagna che non sono abitate dovranno essere, nello spazio di tre giorni, scoperchiate e i loro ingressi murati. È proibito di trasportare pane o altra specie di provvigione oltre le abitazioni dei Comuni, e chiunque disubbidirà a questo ordine sarà considerato come complice dei briganti ». L’eco di questo bando arrivò anche a Londra, dove il parlamentare lord Alexander Baillie-Cochrane affermò che «un proclama più infame non aveva mai disonorato i giorni peggiori del regno del terrore in Francia». Persino il suo più stretto collaboratore, l’ufficiale Auguste de Rivarol, rimase sconcertato dalle azioni di Fumel, tanto da annotare nelle sue memorie (Nota storica sulla Calabria) i suoi pensieri sulle atrocità volute dal colonnello. Il deputato Giuseppe Ricciardi disse alla Camera il 18 aprile 1863: «Questo colonnello Fumel si vanta d’aver fatto fucilare circa trecento briganti e non briganti». Anche il macellaio garibaldino di Bronte Nino Bixio ebbe a dire: ‘Si è inaugurato nel Mezzogiorno d’Italia un sistema di sangue’, così come molti altri comandanti dell’esercito, presero le distanze dalle decisioni di Fumel. Ma balzò agli onori (e disonori) della cronaca nell’inverno del 1863 a causa della fucilazione di un centinaio di cittadini di Fagnano Castello ritenuti briganti dalle forze armate. Erano tutti briganti? Certamente molti erano poveri contadini inermi, di 27 cittadini fucilati sono stati ritrovati i certificati di morte ed erano alcune personalità della comunità fagnanese che godevano di indubbia onorabilità come l’ex sindaco nonchè notaio e un paio di possidenti terrieri. Ma il temibile e temuto Colonnello Fumel, ebbe anche un’altra funzione, indiretta ma non meno incisiva, con la sua feroce repressione di “briganti” e “fiancheggiatori”, di indubbia crudele efficacia, ha senz’altro contribuito a ingrossare il flusso migratorio che dalle Due Sicilie, strette nella morsa della povertà, dell’occupazione e della paura (denunce, delazioni, azioni di polizia brutali, oltre all’ostilità ed al timore nei riguardi di quell’oggetto misterioso, remoto ma sempre pronto a colpire, il nuovo governo sabaudo) si è riversato nelle Americhe. I metodi brutali del colonnello attirarono lo sdegno dell’opinione pubblica europea e, spinto principalmente dalle proteste del parlamento italiano e britannico, il governo decise di rimuoverlo dall’incarico. Vittorio Emanuele II, altro rozzo macellaio, difese il suo operato e lo decorò con la medaglia d’argento al valor militare. Ma molto più grave fù la gratitudine dei liberali voltagabbana meridionali, che in tre cittadine calabresi gli conferirono la cittadinanza onoraria: Roseto Capo Spulico e Amendolara nel 1862, San Marco Argentano nel 1863. Fumel soggiornò poi a Roma nella speranza di essere eletto senatore a vita dal sovrano sabaudo, ma il diavolo tre anni dopo la strage lo chiamò a sé tra i più validi suoi collaboratori e così morì prima di poter sperare nel ricevere la nomina.
A Fagnano Castello 1863, cento persone furono massacrate nell’arco di una sola giornata. A distanza di oltre 152 anni il 16 agosto 2015 Fagnano ha ricordato le vittime dell’assurda barbarie piemontese con una targa posta in loro onore nella speranza che ciò possa almeno dare loro un poco di sollievo a queste povere anime. Oggi che conosciamo la nostra storia abbiamo l’obbligo morale e identitario di lottare per ricostruire l’appartenenza al nostro territorio, identità che fù strappata, squartata, disonorata nel momento in cui avvenne l’invasione garibaldesca e savojarda.

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Il terrore dei contadini il pluridecorato Col. Pietro Fumel eroe nazionale!
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Targa a ricordo della strage piemontese del 1863 — presso Fagnano Castello.

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