LA TOMBA di PARTENOPE ESISTE!

Per secoli si è dibattuto sul luogo di sepoltura di un essere mitologico, ma a Napoli la realtà e leggenda da sempre si fondono insieme in tutt’uno. Di quel luogo mitologico dove fu sepolta la sirena, morta sull’isolotto di Megaride, si discusse nell’antichità (Stazio,Licofrone, Strabone) ma anche in tempi moderni (Sannazaro, Pontano, il Celano, Bartolommeo Capasso, ecc.). Partenope posò dove era la torre di Fàlere, e dove il Clanio irrigava la terra con le sue acque. Le fanciulle del luogo la raccolsero, le costruirono una tomba, e la onorarono ogni anno con libazioni e sacrifizi di buoi. E ciò si accorda col vanto, che davansi i Napoletani, di aver nella loro città il monumento della Sirena Partenope. Degli scrittori moderni, che vollero determinare il luogo; in cui si credeva dagli antichi fosse situata la tomba di Partenope, io seguo Fabio Giordano, che la colloca nel punto più elevato della città, presso il tempio della Fortuna sul colle di S. Aniello. Dopo la venuta in Napoli di Dietimo capitano delle navi ateniesi, la Sirena fu onorata con la corsa lampadica. « Essi (gli Euboici) nel primo fondare, di candido marmo una nobile sepoltura della terra nel ventre trovarono; il titolo della quale, di lettera appena nota, tra loro leggendolo, trovarono che dicea: Qui PARTENOPE VERGINE SICULA « MORTA GIACE». — Ma la scoperta del muro a S. Aniello fu assai diversamente e più rettamente giudicata da altro testimone oculare, il Bolvito, il quale in una nota marginale alla Relazione del Lettieri scrisse : « Essendose in questo anno 1585 aperta quella via che dal largo che sta avante la porta de S. Aniello cala a la strada di S. Maria de Constantinopoli, vi son state ritrovate dietro della intrascritta muraglia con li quadroni de pietra dolce senza calcio certe altre muraglie indietro poste nell’ infra depinto modo: queste erano di mattoni et anco de quatrotti di pietra dolce reticolati, ma non molto grosse; et li vacui di esse tramezzatamente stavano per tutto preindicato terreno, et cossi senza dubbio doveano circuire per tutto detta muraglia principale

della città, perché ingagliardevano la detta muraglia mirabilmente ».
Ma cosa dire della lapide millenaria all’interno della basilica di San Giovanni Maggiore che ospita un frammento di lapide, la cui iscrizione, che recita:
Omnigenum Rex Autor
Scs + Ian
Partenopem tege fauste
«San Gennaro proteggi Partenope» (invocazione rivolta a «Scs Ian», vale a dire, a san Gennaro), è quindi la pietra tombale del sepolcro di Partenope.
Quindi, se il ricordo della sirena è associato a due luoghi sacri dedicati al Battista (San Giovanni a Mare e San Giovanni Maggiore), non si tratta d’un semplice caso, ma una relazione tra le due figure dovrà anche esserci. E allora varrà la pena di riflettere per un momento: Giovanni è il santo della verginità (vive da eremita nel deserto; respinge le seduzioni di Salomè), così come vergine è Partenope; è il santo delle acque (battezza Cristo nel Giordano, e inoltre la tradizione popolare vuole che nel suo giorno festivo nell’acqua si versi il piombo fuso, con finalità divinatoria, e ci si lavi il viso con l’acqua di rose o magari con la rugiada), così come dalle acque del mare arriva Partenope; è il santo della fecondità (alla rugiada è attribuita facoltà fecondatrice, al pari del sole, nel periodo solstiziale), e analoga concezione suggeriscono i seni della Sirena nella fontana di Spina Corona.
Il mito della Sirena Partenope, rivive ancora silente nel ventre della sua città!
Ricordiamo Matilde Serao: « Parthenope non è morta, Parthenope non ha tomba, Ella vive, splendida giovane e bella, da cinquemila anni; corre sui poggi, sulla spiaggia. E’ lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori, è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene (…) quando vediamo comparire un’ombra bianca allacciata ad un’altra ombra, è lei col suo amante, quando sentiamo nell’aria un suono di parole innamorate è la sua voce che le pronunzia, quando un rumore di baci indistinto, sommesso, ci fa trasalire, sono i baci suoi, quando un fruscio di abiti ci fa fremere è il suo peplo che striscia sull’arena, è lei che fa contorcere di passione, languire ed impallidire d’amore la città. Parthenope, la vergine, la donna, non muore, non muore, non ha tomba, è immortale …è l’amore. »

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