TROPPO FIATO ALLE TROMBE!

I tromboni della storiografia ufficiale suonano che il sud fu liberato dalla tirannia dei Borboni, che il popolo non sopportava più. Il Regno delle Due Sicilie era una terra povera e arretrata, infestata da Briganti che fu civilizzata dai Piemontesi, che la portarono nel regno d’Italia cercando di dare ai suoi abitanti una dignità di cittadini che non avevano mai avuta. Ma la cosa più importante è che ci portarono la libertà, oltre il benessere. Secondo questa storia il sud versava in condizioni di povertà ed arretratezza talmente gravi che la calata dei Piemontesi fu una vera fortuna per quelle popolazioni. A questo punto ristabilire un minimo di verità storica è alquanto semplice perché è assurdo quanto viene asserito! Niente di più falso. Qualcuno ha mai visto uno stato che entra in guerra per dare la libertà e la ricchezza al suo vicino? Mai visto. Non si capisce perchè i Piemontesi farebbero eccezione. La verità è che il regno delle due Sicilie, pur non essendo un paradiso, era sicuramente uno stato molto ricco, con una florida agricoltura, dove il commercio con altri stati era attivissimo. Il debito pubblico era un quarto di quello del Piemonte. Per la buona amministrazione e le finanze oculate, la Borsa di Parigi, allora la più grande del mondo, quotava la Rendita dello Stato napoletano al 120 per cento, ossia la più alta di tutti. Il Banco di Napoli era florido. Il primo tratto di ferrovia sul suolo italiano, la prima rete di gas, il primo telegrafo elettrico, 9000 medici esercitavano nel Regno e ciò è indice di un livello di assistenza sanitaria buona sempre a conferma di prosperità. Un medico ogni mille abitanti, più di qualche paese europeo odierno!!     Il regno, rispetto “all’industrializzatissimo Piemonte” aveva una percentuale tripla degli occupati nel settore. Aveva in percentuale più o meno lo stesso numero di occupati nell’agricoltura e nel commercio. Il tasso di povertà era tra i più favorevoli rispetto alle altre zone d’Italia. Ma perchè queste plateali falsificazioni? Inoltre basterebbe dare un ‘occhiata alla crescita della popolazione sotto il regno dei “cattivi” Borbone per capire che qualcosa non quadra nella storiografia ufficiale. In poco più di 100 anni la popolazione si triplica. Ciò risulterebbe molto difficile se ci fossero solo condizioni di assoluta povertà, alta mortalità e disoccupazione. E tutto  questo sarebbe sufficiente per smentire le tesi ufficiali. Purtroppo ancora oggi la storiografia ufficiale, continua a riportare queste clamorose bugie. Alessandro Bianco, conte di Saint-Jorioz piemontese, sterminatore di gente pacifica, scrivendo le sue memorie sul brigantaggio, ebbe momenti di lucida analisi nell’individuare le radici del brigantaggio ed il rifiuto della popolazione per l’invasore piemontese:      “Il Piemonte si è avvalso di esuli ambiziosi servili, incuranti delle sorti del proprio paese e preoccupati soltanto di rendersi graditi, con i loro atti di acquiescente servilismo, a chi, da Torino decide ora sulle sorti delle province napoletane. E accanto a questi uomini, adulatori e faziosi, il Piemonte ha posto negli uffici di maggiore responsabilità gli elementi peggiori del paese figli dei più efferati borbonici, per fama spioni pagati dalla polizia, sono ora giudici di mandamento o Giudici circondariali, sotto prefetti o delegati di polizia; negli uffici sono ora soggetti diffamati e ovunque personale eterogeneo e marcio che ha il solo merito di essersi affrettato ad accettare il programma Italia e Vittorio Emanuele ed una sola qualità, quella di saper servire chi detiene il potere”.
(Tratto da : A. Bianco di Joroz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia 1860-63, Milano ed. Daelli (pag 373/76))
La storiografia ufficiale ha dato sempre un certa lettura dei fatti che portarono all’unificazione del regno d’Italia. Chi non è nato qui, chi non ci vive, che non ne conosce le pieghe, inevitabilmente finisce per accettare le spiegazioni ufficiali, pochi vanno a fondo e cercano di studiare la cosa. La ‘monnezza’, la pizza e il mandolino, le canzoni, le fatalità, i meridionali sono simpatici ma inaffidabili, perchè sono in fondo tutti mafiosi. Non amano lavorare. La mancanza di senso civico, di rispetto, di educazione, viene attribuita al carattere, con spiegazioni di tipo antropologico. Forse non per colpa loro, ma perchè sono quelli che vengono trasmessi e quelli che passano. Così le mire espansionistiche di Cavour furono mascherate dai fermenti risorgimentali. In nome dell’unità d’Italia i Piemontesi invasero il pacifico Regno delle due Sicilie, lo depredarono, trucidarono la popolazione che costrinsero all’emigrazione per la povertà. Così è ovvio che non si poteva dire che si trattava di una guerra di conquista e di rapina! Un pò come gli Americani mascherano come guerra di libertà l’invasione dell’Iraq per impossessarsi dei ricchissimi giacimenti petroliferi. L’impoverimento del territorio meridionale lo stiamo pagando ancora oggi. E la politica del governo (del nord) a tutt’oggi è tesa a mantenere quelle zone in condizione di sudditanza morale e materiale. Tutto è come nelle migliori colonie dove furono affidati ai peggiori elementi la guida della polizia e della burocrazia. L’alto tasso di corruzione della pubblica amministrazione, le commistioni con la malavita, nascono allora e quei legami perversi si sono mantenuti e rinsaldati fino ai giorni nostri. Questo spiega perchè il popolo meridionale ha percepito lo Stato, le Istituzioni, come totalmente estranei. Cosi spiega l’assenza di senso civico e la mancanza di rispetto per la res pubblica.
Ma non si vuole dare nessuna giustificazione al popolo meridionale che ha le sue colpe, per l’indolenza ed il fanatismo con cui oggi subisce condizioni di vita inaccettabili, costretta convivere con i soprusi della malavita. Ma se non si capiscono i mali, è difficile trovare rimedi adeguati. C’è poco da fare senza una presenza forte e amichevole dello Stato, che rimedi e alle nefandezze storiche e ne riconquisti la fiducia, il meridionale non crederà alle Istituzioni, perchè c’è una sfiducia atavica e non si batterà per una cosa che non sente sua. Dovrebbe essere lo Stato a spezzare il controllo del territorio operato dalla malavita. Controllo che venne reso possibile dal Regno d’Italia, dai Piemontesi e che viene perpetuato ancora oggi. Sono stati inutili gli investimenti e gli sperperi dei vari interventi straordinari, Casse del mezzogiorno, ecc.. Quei soldi hanno arricchito e arricchiscono i soliti noti, ma non migliorano le condizioni di vita del Sud. Perché lo stato non dimostra di volere davvero estirpare la malavita, non lo si può pretendere dai cittadini eroi, che poi lo Stato democratico quotidianamente tradisce. Un tradimento verso il popolo iniziato con i “ribelli” che definirono “briganti” i quali chiedevano la libertà e la terra a loro promessa con un editto ufficiale ed invece furono fucilati da quel Garibaldi che doveva essere il liberatore, ma era solo un mercenario sanguinario, al soldo dei capitalisti del nord.
Dite la verità quanti di voi sapevano? Credo pochi, perchè come la maggioranza a scuola abbiamo studiato il mito del Risorgimento, l’Unità di Italia, le figure eroiche di Garibaldi, dei Mille, Bixio…
Questa storia del risorgimento è una delle falsificazioni storiche più grosse.

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Negli anni ’70 escono una serie di saggi, di giovani intellettuali e storici meridionali ( Nicola Zitara, Edmondo Maria Capecelatro, Antonio Carlo e altri).
Nei loro saggi attraverso una puntuale e rigorosa analisi socio-economica del Meridione preunitario, sostengono e dimostrano con dati e numeri inoppugnabili, (per esempio sull’industria agro-alimentare ma anche siderurgica nel Napoletano e non solo) che al momento dell’Unità il divario Nord-Sud non esistesse (o comunque non fosse determinante) sicché a determinare il sottosviluppo del Sud sia stata l’azione politica dello Stato unitario, In altre parole sostengono che la dialettica sviluppo–sottosviluppo si sia instaurata nell’ambito di uno spazio economico unitario – quindi a unità d’Italia compiuta – dominato dalle leggi del capitale.
Tale tesi – che si ricollega fra l’altro a una serie di studi sullo sviluppo ineguale del capitalismo, in modo particolare di Paul A. Baran, di Andre Gunter-Frank e Samir Amin – tende a porre in rilievo come la dialettica sviluppo-sottosviluppo non si instauri fra due realtà estranee o anche genericamente collegate, ma presuma uno spazio economico unitario in cui lo sviluppo è il rovescio del sottosviluppo che gli è funzionale: in altri termini lo sviluppo di una parte è tutto giocato sul sottosviluppo dell’altra e viceversa e dunque il sottosviluppo del Sud è il risultato dello sviluppo capitalistico e non della sua assenza.
Zitara, Capecelatro e Antonio Carlo furono accusati e tacciati di “nostalgie borboniche”. Perché? Per le differenti analisi – parzialmente anche rispetto a Gramsci – sulla Questione Meridionale?
No: semplicemente perché avevano osato dissacrare quanto tutti avevano divinizzato: il movimento e il processo, considerato progressivo e progressista, del Risorgimento. Avevano osato mettere in dubbio e contestare le magnifiche sorti e progressive dello Stato unitario, sempre celebrato da chi a destra, a sinistra e a centro aveva sempre ritenuto che tutto si poteva criticare in Italia ma non l’Italia Unita e i suoi eroi risorgimentali.
am
Per ristabilire, con un minimo di decenza un po’ di verità storica occorrerebbe, messa da parte l’agiografia e l’oleografia patriottarda italiota, andare a spulciare fatti ed episodi che hanno contrassegnato, corposamente e non episodicamente, il Risorgimento e Garibaldi: Bronte e Francavilla per esempio. Che. non sono episodi né atipici né unici né lacerazioni fuggevoli di un processo più avanzato. Ebbene, a Bronte come a Francavilla vi fu un massacro, fu condotta una dura e spietata repressione nei confronti di contadini e artigiani, rei di aver creduto agli Editti Garibaldini del 17 Maggio e del 2 Giugno 1860 che avevano decretato la restituzione delle terre demaniali usurpate dai baroni, a chi avesse combattuto per l’Unità d’Italia. Così le carceri si riempirono in breve e assai più di prima. La grande speranza meridionale ottocentesca, quella di avere da parte dei contadini una porzione di terra, fu soffocata nel sangue e nella galera. Così la loro atavica, antica e spaventosa miseria continuò. Anzi: aumentò a dismisura. I mille andarono nel Sud semplicemente per “traslocare” manu militari, il popolo meridionale, dai Borbone ai Piemontesi. Altro che liberazione!
an
L’Unità d’Italia si risolverà sostanzialmente nella “piemontesizzazione” della Penisola e fu realizzata dal Regno del Piemonte, dalla Casa Savoia, dai suoi Ministri – da Cavour in primis – dal suo esercito in combutta con gli interessi degli industriali del Nord e degli agrari del Sud – il blocco storico gramsciano – contro gli interessi del Meridione e delle Isole e a favore del Nord; contro gli interessi del popolo, segnatamente del popolo-contadino del Sud; contro i paesi e a vantaggio delle città, contro l’agricoltura e a favore dell’industria.

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