Il teatro napoletano è una delle più antiche e conosciute tradizioni artistiche della città di Napoli, tanto che il suo contributo al teatro italiano è fondamentale. Ha come precursore il teatro greco, ma le prime tracce del teatro napoletano risalgono all’opera poetica di Jacopo Sannazaro e Pietro Antonio Caracciolo tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, ai tempi della corte aragonese. Jacopo Sannazaro a Castel Capuano, alla presenza di Alfonso d’Aragona, celebrò le vittorie degli spagnoli e la presa di Granada in un’opera dal titolo “Arcadia” che evocava le gesta eroiche del condottiero spagnolo. Dopo qualche anno, il Caracciolo presentò due opere dal titolo “La farsa de lo cito” e “Imagico”, che ripudiavano il linguaggio merlettato e attingevano dal popolo sia la trama che la dialettica. I due poeti, anche attori e registi, ebbero il merito di diffondere la cultura teatrale tra i ceti minori della popolazione. Senza però dimenticare un altro celebre artista, di questo periodo, il Velardiniello, un cantastorie di strada. Verso la fine del ‘500 nacque dall’attore Silvio Fiorillo, la maschera di Pulcinella, che con la Compagnia degli Uniti operò nell’Italia preunitaria e in Europa tra il 1578 e il 1640. Pulcinella viene portato in scena ad inizio Seicento dall’attore Andrea Calcese. Come affermò Benedetto Croce nei suoi studi sull’argomento, Pulcinella denota un carattere che è stato plasmato dai numerosi attori che l’hanno interpretata e che spesso, specie nel periodo della dominazione spagnola, l’hanno utilizzata come strumento di satira e critica politica. Pulcinella rappresenta il modo napoletano di vedere il mondo, di umile rango sociale, grazie alla sua furbizia e alla sua arte di destreggiarsi in qualsiasi situazione, riesce in qualche modo ad averla sempre vinta. Importante, per il teatro napoletano, è il modo in cui il personaggio viene rielaborato specie nell’Ottocento. L’ultimo, e forse il più grande interprete di Pulcinella, fu Antonio Petito (1822-1876), che lo trasformò da servo a cittadino napoletano per antonomasia, furbo e burlesco, modernizzandolo e permettendone la sua trasformazione ad opera di Eduardo Scarpetta. Nel 1737 nasce a Napoli il Teatro d’Opera più antico del mondo: il teatro San Carlo, con 184 palchi e 1379 posti a sedere, anticipa di 41 anni la Scala di Milano e di 55 la Fenice di Venezia. L’inaugurazione, avvenuta la sera del 4 novembre, giorno onomastico del sovrano, sfoggia l’Achille in Sciro di Pietro Metastasio, con musica di Domenico Sarro e “due balli per intermezzo”. Nei primi quattro anni di stagioni vi è una predilezione per la danza a cui seguiranno opere del periodo fulgido napoletano: gli autori più rappresentati sono Leonardo Leo, Niccolò Porpora, Leonardo Vinci, Domenico Sarro, Johann Adolf Hasse “il Sassone”, Gaetano Latilla, Niccolò Jommelli, Baldassarre Galuppi, Niccolò Piccinni, Antonio Maria Gaspare Sacchini, Tommaso Traetta e infine Giacomo Tritto. Il Settecento è anche il secolo dei cantori evirati, dominato da Carlo Broschi in arte Farinelli: Napoli incorona beniamino del pubblico sancarliano il Caffariello (Gaetano Majorano), pupillo di Porpora, uno dei castrati più famosi del suo tempo, accanto a Gizziello (Gioacchino Conti) e Gian Battista Velluti. Vede anche l’arrivo, al Teatro San Carlo, di Christoph Willibald Gluck, chiamato a Napoli per tenere a battesimo la sua Clemenza di Tito (1752) anticipando Johann Christian Bach che tra il 1761 e l’anno successivo firma due titoli, Catone e Alessandro. La Scuola Napoletana è dai quattro Conservatori della città che trae la linfa creativa, punta di diamante del mondo musicale europeo e vivace nutrimento artistico per i teatri napoletani. A questa rivolsero il proprio sguardo attento e curioso artisti come Händel, Haydn e un giovane Mozart, affascinato nel 1778 da una Napoli “che canta e incanta” tanto da voler ambientare il primo atto del suo “così fan tutte” tra le ridenti atmosfere di una storica “bottega del caffè” della città. Incommensurabili maestri della Scuola Napoletana sono Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello a cui, nel 1787, viene dato il compito di “sovrintendere all’Orchestra del San Carlo”, procedendo ad una radicale riforma. Nello stesso anno, su commissione di Ferdinando IV, scrive l’”Inno Nazionale delle Due Sicilie”. “La prima impressione è di essere piovuti nel palazzo di un imperatore orientale. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita…” (Stehdhal, Rome, Naples et Florence, 1817). Napoli splende tra le città di respiro europeo, con quasi mezzo milione di abitanti e il vivace flusso dei visitatori portata dalla voga del Grand Tour. Si apre il tempio delle grandi stagioni dirette da Rossini e Donizetti, il 4 ottobre del 1815 un compositore di 23 anni, Gioacchino Rossini, firma la sua prima opera al San Carlo, Elisabetta Regina d’Inghilterra. Il cast è stellare: Isabella Colbran, Andrea Nozzari, Manuel García. “Furore!” scrive il musicista all’indomani del debutto partenopeo, per la gioia di essere in cartellone nel “teatro dei grandi”. Da allora, la scena del San Carlo si riempie di respiro rossiniano con le opere Armida, Mosè in Egitto, Ricciardo, Zoraide e ancora Ermione, La Gazza Ladra, Zelmira. Gaetano Donizetti comporrà ben 17 opere per il San Carlo; tra queste: Maria Stuarda, Roberto Devereux e Lucia di Lammermoor in scena per la prima volta proprio al Massimo di Napoli il 26 settembre 1835. Nella notte del 13 febbraio del 1816 un incendio devasta l’edificio del Massimo napoletano, rimangono intatti soltanto i muri perimetrali e il corpo aggiunto. La ricostruzione, compiuta nell’arco di nove mesi, è diretta da Antonio Niccolini. Lo scrittore Stendhal, all’inaugurazione del 12 gennaio 1817, neanche un anno dopo l’incendio che aveva devastato il Teatro, scrisse: “Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro ma ne dia la più pallida idea. Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare… Chi volesse farsi lapidare, non avrebbe che da trovarvi un difetto. Appena parlate di Ferdinando, vi dicono: ‘ha ricostruito il San Carlo!’”.
La sera della grande riapertura va in scena Il sogno di Partenope di Giovanni Simone Mayr, seguita da un ballo creato da Salvatore Viganò. A creare il mito della ballerina romantica, l’austriaca Fanny Elssler, la “svedese” Maria Taglioni e la napoletana Fanny Cerrito, una delle prime donne coreografe, le cui le cui scarpette sono religiosamente custodite nel Museo dell’Opéra di Parigi. Tutti i più grandi artisti prima o poi hanno calcato le scene del Teatro, come Niccolò Paganini che nel 1819 vi tiene ben due concerti, il 26 giugno e il 7 luglio. Un palcoscenico prestigioso quello partenopeo, di cui si è innamorato anche Vincenzo Bellini, che nel 1826 debutta con Bianca e Gernando, opera prima scritta proprio per il San Carlo. La leggenda narra del giovane compositore ancora studente al Conservatorio di Napoli, costretto ad abbandonare frettolosamente le prove al San Carlo “per sostenere un esame al cospetto del Commissario del Regno”. Ecco il direttore della prestigiosa istituzione, Nicola Zingarelli, nel vedere il Bellini: ”Credo soverchio, se non inutile, esaminare questo giovinetto, che tra qualche mese dovrà essere esaminato da giudici assai più severi di noi: dal pubblico del San Carlo ove darà la sua opera che sta componendo: Bianca e Gernando”. Per un certo tempo il musicista di Altamura Saverio Mercadante divide la sua fetta di gloria con Giuseppe Verdi, il quale nel 1841 entra nella storia del Lirico con la prima napoletana del suo Oberto, conte di San Bonifacio. Sono anni d’oro per Mercadante coinvolto in una sorta di duello ideale con il compositore di Busseto. Dopo la Alzira, Verdi incalza a ritmo serrato con l’Ernani fiore all’occhiello della stagione del 1846 insieme a Gli Orazi e i Curiazi di Mercadante. Il cartellone targato 1847/48 punta su Attila e Nabucco e dopo la parentesi dei moti rivoluzionari il nuovo corso si apre con un altro titolo verdiano, I Lombardi alla Prima Crociata, a seguire, nella stagione 1849/50, tre prime opere scritte per il San Carlo: una di queste è di Verdi, che se la gioca con Mercadante in uno scontro ad armi pari. Dopo la prima Romana, Un Ballo in Maschera, originariamente Gustavo III, opera scritta per il San Carlo ma censurata nel 1858, è accolta trionfalmente dal pubblico. L’anno successivo Ricordi pubblica un Quartetto d’archi, unica composizione cameristica di Verdi, scritta appositamente per le “prime parti” dell’Orchestra del San Carlo. Ancora più antico del massimo è Il Teatro dei Fiorentini, fondato nel 1618, prese il nome dalla vicina Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, nel quale furono rappresentati intermezzi e opere buffe dei maggiori compositori partenopei dell’epoca.
Il teatro Nuovo costruito nel 1723 su progetto dell’architetto e scenografo Domenico Antonio Vaccaro per conto degli impresari teatrali Giacinto De Laurentiis e Angelo Carasale. Il Vaccaro progettò un teatro in una locazione dalle ridottissime dimensioni, riuscendo a strutturarlo senza difetti e implementandovi un’alta capacità: mille posti. Il teatro San Carlino costruito, nel 1740 in largo del Castello dove oggi troviamo la banca d’italia, era poco più di una baracca ma grandi artisti (Vincenzo Cammarano (Giancola), Salvatore e Antonio Petito ed infine, Eduardo Scarpetta) fecero grande quel piccolo teatro.
Al San Carlino nasce la parodia, la comicità, lo sfottò. Basti pensare che in quegli anni nessuno poteva osare prendere in giro il Re, a parte gli attori del San Carlino che nelle loro parodie potevano sberleffare anche la famiglia reale, e si racconta addirittura, che lo stesso Ferdinando IV di Borbone preferiva disertare il San Carlo dove i nobili andavano a sentire le opere e a vedere i drammi, per andare al San Carlino travestito da Lazzaro per confondersi con la folla. Venne demolito il 6 maggio del 1884 e purtroppo non esiste una targa che lo ricordi!
Il Teatro “La Fenice” di Napoli venne costruito intorno al 1806, in una scuderia dei duchi di Frisia, nel cinquecentesco palazzo del duca di Grottolella, che sta ad angolo tra Via Santa Brigida con via Verdi. Ospitava prevalentemente l’Opera buffa, viene citato nel manuale per il forestiero a Napoli come tra i maggiori teatri.
Teatro della Partenope, in largo delle Pigne si rappresentavano per lo più opere.
Teatro del Sebeto, di piccole dimensioni si rappresentavano delle buffonerie napoletane.
Il varietà, così come l’avanspettacolo nasce a Napoli verso la fine dell’Ottocento e l’inizio del XX secolo, più semplicemente chiamato Café-chantant, era il periodo della “Belle Epoque” in cui Napoli e Parigi erano le capitali culturali d’Europa. Chiamato così perché le esibizioni degli artisti avvenivano nei caffè e sale da tè, il famosissimo “Caflish”, poi cominciò ad ampliarsi come spettacolo teatrale vero e proprio, passando non distante dal caffè, alla bomboniera di via Chiaia il ” Teatro Sannazaro”. Lo spettacolo era suddiviso in due tempi e vari quadri, a secondo delle esibizioni, nel primo si esibivano ballerine, cantanti, illusionisti e guitti. Nel secondo le vedette più attese le sciantose e soprattutto “le macchiette”. In pratica erano degli attori che cantavano in modo caricaturale.
La quantità di teatri, la varietà e la qualità delle commedie, la grande tradizione musicale di una città con ben quattro conservatori musicali, gli artisti e i musicisti napoletani ci devono fare riflettere che Napoli era davvero una grande capitale di cultura che in oltre 150 anni dall’Unità pur possedendo una forte identità, è stata spogliata del proprio ruolo e fatta divenire una delle tante e semplici città della penisola. Napoli, con la sua portata e i suoi difetti, è la città di cui si parla di più in Italia, e di lei si parla quasi esclusivamente male, esagerando, inventando, strumentalizzando, però proprio qui (e non solo) si fonda la forza dei Napoletani, nella consapevolezza di essere in realtà altro e molto di più, nell’orgoglio, nonostante in parecchi casi sia assopito e pur sempre pungente. Il merito di Napoli è quello di non aver mai dimenticato di essere una capitale, seppur sospesa.
E’ il simbolo che rivendica Napoli come grande città europea. Un vero spettacolo, che è descritto da Stendhal con queste parole: “Non c’è nulla in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la pallida idea. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita…”Ha al suo attivo numerosi primati, come quello di essere il teatro più antico del mondo tra quelli attivi ancora, è uno dei più capienti d’Italia, con i suoi 1386 posti; è stato inserito nella lista del National Geographic ed è addirittura il più bello del mondo, essendosi classificato prima del Bolscioi, prima dell’Opéra Garnier, prima della Scala di Milano. Dopo la seconda guerra mondiale, fu il primo in Italia a riaprire. Simbolo di Napoli capitale europea, fu fondato per volere di Carlo di Borbone, costruito da Giovanni Antonio Medrano ed Angelo Carasale per una capienza da 3.000 posti, fu inaugurato il 4 novembre 1737.Prezzario teatro La Fenice NapoliEffigie di Paoluccio della Cerra, detto comunemente Pulcinella, di “Carlo Enrico di San Martino”. E’ un contadino che si chiama Paoluccio con volto rugoso di aspetto sciocco e astuto. Indossa un fazzoletto con un colletto aperto che rivela il collo screziato e il torace osseo di un uomo anziano, con un cappello in un angolo rigido.