LA NASCITA DI UN NUOVO MERIDIONALISMO

Con il meridionalismo in stato letargico, il Sud era dato per perso e inutili erano i tentativi di recupero, anzi si sfruttò questa situazione per prendere sul serio la famigerata “Questione settentrionale”, posta dalla Lega, ma condivisa da fasce ben più ampie, perché si traduceva in una rapina di risorse pubbliche a sfavore del Nord, che in un secolo e mezzo, aveva generosamente elargito al Sud! La Questione Meridionale è il divario di infrastrutture, reddito, produttività del Sud, rispetto al resto del Paese (quindi quello che manca è l’equità); la Questione Settentrionale è il presunto diritto del Nord, in quanto più ricco (ma con soldi di tutti), ad avere più diritti. Così ad opera di studiosi e politici del Nord, si cerca la ragione del divario in un “ritardo” dovuto a condizioni già preesistenti all’Unità, benché negli ultimi anni molteplici studi universitari e di divulgazione editoriale e giornalistica, mostrano come il divario fu conseguenza del modo in cui fu unificato il Paese: invasione armata, un genocidio, distruzione dell’economia e dell’industria meridionale, saccheggio del tesoro e delle banche delle Due Sicilie e la decisione, ancora oggi attuata, di negare al Sud infrastrutture e investimenti pubblici dati al Nord per sostenere l’economia (tranne che in due brevi periodi ai primi del Novecento e dopo la seconda guerra mondiale). Questo ha creato una frattura profonda fra “vecchi” e i “nuovi” meridionalisti; che solo una nuova stagione di studi e ricerche serie potrà colmarla, raccontando la verità su cosa furono e fecero i conquistatori taliani, verità occultata da un secolo e mezzo di diffamazione, per evitare risentimenti che potessero indebolire l’idea dell’Italia unita. Si può affermare che le prime indicazioni date dalla borghesia italiana sull’arretratezza del sud sono tutte impregnate di una visione liberista del problema. È dalla seconda metà del secolo scorso, che la borghesia italiana è impegnata nel formulare ipotesi di sviluppo per l’Italia del sud, senza però dare una risposta seria ai drammatici problemi del meridionale. Dopo l’unificazione del regno, il governo, per approfondire le cause del ritardo economico, invia nelle regioni meridionali tutta una serie di economisti, sociologi ed altri studiosi. I risultati delle inchieste, ricollegandosi alle teorie del liberismo economico, imputano le cause del sottosviluppo agli ostacoli che impediscono il perfetto funzionamento dei meccanismi del mercato. I primi governi unitari adottano una politica economica tendente a favorire complessivamente lo sviluppo del capitalismo nelle aree più avanzate. Il progetto unitario è visto esclusivamente come il passaggio obbligato per unificare il mercato italiano e dare così alla borghesia uno spazio economico dove vendere le proprie merci. Per il pensiero liberista il solo intervento consentito allo stato è quello finalizzato ad eliminare gli ostacoli che si frappongono al libero funzionamento del mercato. Per tutta una fase storica, che si protrae fino agli inizi del 20° secolo, quella liberista è l’unica risposta fornita dalla borghesia per giustificare il ritardo economico del meridione. Quindi il moderno meridionalismo oggi, ricostruisce verità, perde minorità, è di massa, chiede equità e rispetto. Una non aggregata politica di “opposizione meridionale”. Con lo sdoganamento della questione meridionale in una questione non legata alle strategie di sviluppo economico di queste terre, bensì soltanto una questione di identità. O, peggio ancora sia solo la questione di come sia distorta la rappresentazione più o meno stereotipata che di questa identità che viene offerta nei media nazionali, nella pubblicistica corrente, nelle serie televisive in stile Gomorra. «Mentre il Nord sta dissanguando il paese, per tenere in piedi le cattedrali di una religione perduta, quella industriale, il Sud, con le pezze al culo sta reinventando il mondo».
Il Meridione è ostaggio di una economia coloniale a livello della struttura produttiva, determinata da intollerabili lasciti parafeudali nella sua struttura ideologico-sociale. L’Italia è un Paese territorialmente disomogeneo a 156 anni dall’Unificazione: una comunità sulla quale preme un articolato e complesso sistema di ‘vecchi totem’ e ‘nuovi tabù e muri sociali’ che continua a governare il Mezzogiorno, e il suo sottosviluppo economico-civile, fa organicamente ricorso al potere mafioso quale strumento di sorveglianza e controllo, sia sul piano dell’ordine pubblico sia su quello più propriamente politico-civile, mediante la formazione di una borghesia mafiosa egemone negli ordini professionali e nella partecipazione diretta al momento di selezione della classe dirigente nelle istituzioni pubbliche.
Il modello di democrazia imposto alle regioni meridionali è quello tipico delle società sudamericane: la corruzione come norma nella gestione della cosa pubblica, e un blocco storico a difesa degli interessi dominanti, composto da un’alleanza organica tra imprenditoria criminale e burocrazia parassitaria, con il compito di legittimare una società dell’inginocchiatoio e del ricatto sociale. Il neomeridionalismo si propone di spezzare questa organizzazione del potere, favorendo dalle periferie delle città del Mezzogiorno, comunità di resistenza legate tra loro da vincoli di mutuo soccorso, una rinnovata egemonia culturale che oppone alla subalternità dei ceti popolari del Sud, la loro mobilitazione continua; alla prassi dell’economia illegale, che ha trasformato il Meridione in una discarica a cielo aperto, un progetto di sviluppo ecosostenibile, a partire dalla riqualificazione produttiva dei beni confiscati alle mafie.
Bisognerà liquidare la mafia con una seria politica antimafia non connessa al potere romano, ed attuare una rivoluzione culturale della Liberazione in grado di portare la società coloniale alla democrazia popolare. Bisognerà ricercare percorsi di modernizzazione inediti, in alternativa a quelli imposti dall’Europa e dall’Occidente, lungo i quali l’arretratezza del Sud si ritrova all’improvviso a e non essere più un handicap, ma anzi un vantaggio e, quasi, un motivo di fierezza. C’è un nuovo modo di concepire lo sviluppo dei nostri territori attraverso la green economy. Questa è già una rivoluzione. Quando cambia la forma, cambia anche la sostanza. C’è la consapevolezza dell’importanza del Sud, della propria terra. Altro che vittimismo. Qui oggi si lavora con orgoglio e dignità».

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