Quando si unisce un paese o si fa una guerra di liberazione, ai “fratelli liberatori” non dovrebbe essere consentito il diritto di saccheggio, anche perché si invase il Regno per liberarlo dalla tirannide e non si dichiarò guerra ai Borbone che tanti sacrifici avevano fatto per mantenere una fiscalità bassa che non opprimesse la popolazione. Ma il biondo eroe don Peppe Garibaldi, famoso eroe anche nell’oltremare del Sud America, dove grazie alle lettere di “corsa” assalta e depreda, per far bottino, le navi brasiliane e spagnole. Garibaldi, nella sua breve sosta a Marsala, incontrandosi poi con il Sindaco ed i decurioni della città non perderà tempo a pretendere che gli consegnassero il denaro contenuto nelle ‘casse’ comunali. E così con spirito corsaro appena entra a Palermo per prima cosa si fà consegnare dal banco 2.178.818 lire dei 5 milioni di ducati che erano custoditi. Ma con l’onestà che lo distingueva, lasciò un pezzo di carta, una ricevuta, con scritta la promessa che il nuovo stato avrebbe restituito tutto e rimesso i conti in ordine. Quel foglietto restò negli archivi dell’istituto :prima in quello contabile e poi in quello storico.( Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, Edizioni Piemme ). E pensare che “…nel 1859, al Banco di Sicilia dovettero chiamare gli operai per rinforzare il pavimento che, nonostante la blindatura, non bastava per sostenere il tesoro conservato in cassaforte. Lingotti a tonnellate!… Ad alleggerirla, in quel maggio del 1860 e a risolvere i problemi e i pericoli del sovrappeso della cassaforte ci pensò, alla sua maniera, Garibaldi, rapinando i palermitani e i siciliani dei loro risparmi. Garibaldi nella sua gita in Sicilia perfettamente organizzata in ogni suo dettaglio sbarcherà a Marsala, scortato dalla marina borbonica dal comandante Acton che solo dopo un tranquillo sbarco tra le navi di sua maestà britannica che si trovavano lì per puro caso, si deciderà ad usare il cannone, ma si trattò di un uso bonario quasi di festa! A Marsala troverà ad attenderlo il console inglese Collins e qualche rappresentante della stessa colonia inglese presente in quella città, ma la popolazione restò ostile ed avversa alla sua venuta. Altro che accoglienze trionfali con bandiere e mortaretti che falsamente riportano i testi della storiografia ufficiale e scolastica, gli unici botti li sparò il traditore borbonico Guglielmo Acton (che sarà ricompensato col grado di contrammiraglio e poi ministro della marina del Regno d’italia). Ad agosto sempre a Palermo “…correvano i tempi di piglia piglia. Dai beni dei Liguorini e Gesuiti volsero ducati diciottomila alla pubblica istruzione. Ordinarono una sovrimposta del due per cento sui valori di tutti i beni del clero, da pagarsi in tre rate. Da tutte le parti del mondo erano venuti sussidi e obbligazioni per la santa causa della rivoluzione; fatta questa vincitrice, non si tenne conto di quei denari,; e si obbligò il tesoro siciliano a pagar milioni per arme, cannoni, munizioni, vestiari, cavalli, spie, e altri compensamenti, e anche 700.000 ducati prezzo dei quattro decrepiti legni a vapore sicchè il Garibaldi e il Crispi si rivalsero di ogni minimo quattrino speso, e intascarono quanto era stato offerto dai rivoluzionari del mondo. Né sazi di tanto, il dittatore in ottobre comandò allo scrivano di razione così:” Rimborserà il tesoriere generale d’un milione e quattrocentomiladucati, , per estinguere cambiali all’estero, senza darne conto, ponendo l’esito al capitolo delle spese comuni nello stato discusso. E vi era la firma di Domenico Peranni allora ministro delle Finanze. Il denaro se lo presero; i conti li sapevano il Garibaldi, il Crispi, il Peranni, e un Michele Minneci; questi due beneficiatissimi di Ferdinando II, allora predicatori acerrimi della tirannia dei Borboni. (Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie, Edizioni Brenner).
E così con la risalita del Regno fu sistematicamente depredato tutto quello che si poteva, il 6 settembre 1860, cioè il giorno prima dell’arrivo del filibustiere a Napoli, le risorse pubbliche ammontavano a 29.749.256 franchi. I Borbone avevano lasciato intatto il tesoro del Regno, tesoro che fu subito predato dal pirata dei Due Mondi. Pietro Calà Ulloa, ministro in esilio di Francesco II, in una lettera indirizzata al politico britannico Disraeli, descrisse il fatto come un “prodigio di dilapidazione e di corruzione… si cominciò con l’impadronirsi delle residenze reali, delle loro mobiglie, della loro argenteria, degli oggetti d’arte e di lusso , senza redigerne alcun inventario…”. Giacinto De Sivo di quel triste periodo storico ci ha lasciato questa traccia:”…il settembre fu sequenza di iniquità, empietà e misfatti. Plebe irta d’arme, popolo indignato, Nazionali scherani, garibaldini atei e vandali, scellerati potenti; rapine, contrabbandi, mancanza di commercio, caro di vettovaglie; erario dilapidato, non percepiti i dazi, nessuna giustizia, nessuna sicurezza di vita e di roba; ospedali carichi di feriti, case cariche d’alloggi; teatri, piazze, chiese, fatti luogo di spettacoli turpi, accozzamenti di mali preti, di donne, di camorristi, e chiedere soccorsi per feriti e martiri, tutte estorsioni. Nelle province turbolenze, paure e rabbie. Chi a predare, a carcerare, a uccidere; chi a pagare, fuggire, a fingersi liberale. La stampa tutta faziosa, spaventata da tante fazioni opposte, accusava i ministri, il Bertani e i suoi latrocinii; e finiva gridando tribunali statarii e forche…” (Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie, Edizioni Brenner). Non appena terminata la visita al santuario di Piedigrotta, Garibaldi, attorniato da una schiera di delinquenti, diede inizio al il saccheggio di Napoli e della Chiesa. Per cominciare, camorristi e prostitute furono gratificati con grosse somme di denaro; indi, senza indugio, si diede a cancellare l’assetto istituzionale del Sud. I decreti cominciarono a sortire nuovi privilegi a scapito della proprietà privata, demaniale, e della Chiesa. Ai gattopardi si stavano sostituendo le iene fameliche. Al buonsenso si stava sostituendo il malcostume; alla morale il disordine e la rapina. Cominciarono a piovere come grandine i decreti di confisca dei pegni, depositati nei Monti di Pietà, e dei depositi bancari. Il ladrone, da pirata con esperienza decennale nel saccheggio del del Sud-America per conto della massoneria, cominciò quello del Banco di Napoli dalle cui casse estorse ben 80 milioni di ducati. Poi mise mano ai beni della Casa Reale, a quelli dei Maggiorati Reali e dell’Ordine Costantiniano fino ad allora amministrati dal Presidente dei Ministri. Fu anche abolito l’Ordine dei Gesuiti con tutte le diramazioni e dipendenze. I beni mobili ed immobili dell’ordine furono dichiarati nazionali, cioè piemontesi. Furono confiscati 30 milioni di franchi di rendite in cedole sopra il debito pubblico ( gli attuali BOT e CCT ) che gli ex consiglieri del Re si affrettarono a rivelare quali beni personali dei membri della famiglia Reale. (La Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol. VIII, anno 1860, pag 360). …Il Piemonte, con la sua rete di funzionari, portaborse e burocrati onnivori, lasciò il Meridione conquistato, avvilito, depresso e spogliato di ogni avere. Con la scusa dell’Unità d’Italia rubarono tutto…” Questi ladri affamati ed assetati, ebbero persino il coraggio di predare 67.059.000 ducati, della dote ereditaria di Maria Cristina di Savoia, madre di Francesco II. Tali ruberie furono denominate Reintegrazioni legittime in quanto, secondo i nuovi padroni di Napoli, i Borbone quei soldi li avevano rubati. Il ministro Conforti aveva assegnato tutti i soldi, rubati alla Casa Reale, al Garibaldi, mammasantissima del momento ed anche degli anni successivi, il quale da buon corsaro non li aveva disdegnati; a tale sconceria si opposero gli agenti di cambio, per cui l’intera somma al momento fu gioco forza assegnata all’erario. Si assegnarono 6000 franchi al giorno per le spese della tavola del bandito dittatore nizzardo, somma che i suoi pro-dittatori dilapidavano allegramente. Contro quelle ruberie protestò Francesco II attraverso il Ministro degli Esteri Casella e proclamò “…di aver unito la sua causa a quella del popolo, e di non aver curato di porre in salvo le sue sostanze, perché avrebbe sdegnato di salvare per esso una tavola in mezzo al naufragio della Patria”. (Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie,Vol.II, Edizioni Brenner, Cosenza, 1984,pag. 211). “Ma anche l’onesto generale Enrico Cialdini, entrato trionfante in Napoli alla testa di ottomila bersaglieri, il 12 ottobre ( la capitale era stata ormai declassata a capoluogo di provincia) preso alloggio nella profanata Reggia di Napoli, “quell’eroe immacolato non fottette tutti i candelabri d’argento che vi trovò? Li fuse, il grand’uomo… ne fece un po’ di lingotti e via… Li spedì a Torino, cacchio, a casa sua!…” (Angelo Manna, Briganti furono loro quei vili assassini dei fratelli d’Italia, Sun Books, Roma, 1997, pag 143). Ma si mormorava che anche Silvio Spaventa, direttore di polizia di Garibaldi, aveva fatto liquefare 600 paia di candelieri d’argento preziosissimi. Sparirono altresì tanti dipinti di valore, orologi di pregio, impagabili oggetti d’argento e la notevole armeria del Re, fra cui la famosa spada che Francesco I, Re di Francia, aveva impugnato a Pavia nella battaglia contro le truppe di Carlo V.
“…Con le rendite private confiscate a casa Borbone vennero pagati i migliori: il luogotenente Farini Luigi Carlo(quello dell’Affrica e dei beduini che erano rose e fiori al nostro confronto…) si assegnò, bontà sua, uno stipendio di 11mila ducati al mese; tremila al mese si beccarono i tre generali garibaldesi promossi generali dell’esercito italiano: Turr, Medici e Cosenz, l’amico del cuore di Carlo Pisacane che gli involò Enrichetta de Lorenzo, e fu per quelle amichevoli corna che il cornutone pensò di andarsi a suicidare nella disperata spedizione di Sapri…” ( Angelo Manna, Briganti furono loro quei vili assassini dei fratelli d’Italia, ibidem, pag 144). Ma come mai questo falso eroe, questo falso rivoluzionario, questo falso biondo, questo falso capellone, questo vero assassino, questo vero pirata, questo falso socialista, questo vero massone e mercenario, ha fucilato solo contadini ed operai, mai un latifondista. Ha saccheggiato chiese, conventi, casse dei comuni e quelle della banche. Era o no un fervente repubblicano e patriota? No, Garibaldi non era niente, era solo un mercenario al servizio del sistema liberal-massonico. Infatti, anni dopo, quando Londra gli tributò il dovuto riconoscimento di servo e lacchè, Disraeli, che sapeva tutto, rifiutò di stringergli la mano, lo considerava un bieco pirata. Il Garibaldi, spacciato dagli oleografi risorgimentali eroe dei due mondi, colui che della giustizia umana aveva fatto la sua bandiera, non è mai andato a confiscare i beni di Cavour che erano tanti, e quelli dell’aristocrazia piemontese. Ed i liberali napoletani? Tutti ad applaudire le ruberie dello straniero venuto dal Nord. Questi sono stati i nostri liberatori a cui gli hanno intitolato piazze e scuole in tutta Italia:
Così, con questi atti di pirateria e con il saccheggio e la spoliazione sistematica del Sud inizia la predatoria spedizione dei Mille tanta cara e tanto celebrata dalle menzogne dei nostri storiografi e dai nostri risorgimentalisti.





