Capitano Vincenzo Di Bartolo

Ustica, 7 maggio 1802, apprese inglese e francese da un eccezionale insegnante bilingue. Al dodicesimo anno fu inviato, al Seminario Nautico di Palermo, dove “lo strenuo giovine prove mirabili dava di sua capacità nel disegno e nelle matematiche”. Tre anni dopo, anno 1817, partí in crociera di istruzione sulla nave-scuola Collegio Nautico, uno sciabecco della Marina Militare delle Due Sicilie, veliero a tre alberi con 14 cannoni e 50 uomini di equipaggio, destinato anche al trasporto dei corrieri di Gabinetto tra Napoli, Palermo e Trieste. Fece cosí il primo giro dei Mediterraneo visitando Alessandria, Costantinopoli, Odessa, e Lisbona sull’Atlantico. Nel 1820, all’età di soli 18 anni, fu nominato professore di aritmetica e geometria al Seminario Nautico in cui si era diplomato. Ma la passione per Nettuno era troppo forte. La sua anima era attratta magneticamente dal mare, dalle tempeste, dai lunghi viaggi. Cosi, tre anni dopo, anno 1823, la grande decisione: via la palandrana del pedagogo, via per il vasto mare! Di nuovo in giro per il mondo, stavolta come pilota: Costantinopoli, Trieste, Marsiglia, Gibilterra, Amsterdam. Tra la pausa di un viaggio e l’altro, ebbe anche il tempo di trepidare per l’amore di una bella ragazza di Palermo, che sposò: Elisabetta Consiglio che lo rese padre dí ben 8 figli, sette femmine e un maschio. Nel 1827, sul brigantino dell’armatore Chiaromonte Bordonaro, ancora Marsiglia, poi Algeri, Inghilterra. 1831: morte del padre. Riprende il mare, ma questa volta come Capitano del brigantino Alessandro dell’industriale e armatore Beniamino Ingham, un inglese naturalizzato duosiciliano, dedito al commercio del Marsala e di altri prodotti della Sicilia. Gli orizzonti marittimi si allargavano: Brasile, Inghilterra e poi Boston, Terranova, Palermo. 1837: al comando di un altro veliero dello stesso armatore, L’Elisa, porta merci prima in Inghilterra e di nuovo a Boston. Poi, finalmente, con la stessa Elisa, il grande viaggio in cui sarebbe stata messa alla prova la sua abilità di vero grande Capitano, abilità su cui l’armatore Ingham scommetteva nave, carico e ducati. La prima meta del viaggio era Boston, a quell’epoca, come scalo marittimo, di gran lunga piú importante di Nuova York. L’Elisa, carica di merci isolane, lentamente, il 28 ottobre 1838, lascia Palermo. La banchina del porto è gremita dai familiari dei membri dell’equipaggio che, tra sventolio di fazzoletti e bandierine, balbettano mute preghiere alla Madonna del Soccorso e a Santa Rosalia. Il viaggio è rischioso: in pieno inverno bisognerà affrontare tempeste e freddo micidiali. Le preghiere vengono dal Cielo esaudite in parte: fino alla rocca di Gibilterra il viaggio è abbastanza tranquillo. Dopo una breve sosta per rifornimento di acqua nel porto di quella fortezza, il 10 dicembre L’Elisa inizia a solcare l’Oceano. Lenta è la traversata, la nave può fare assegnamento solo sulla forza e sul capriccio dei venti: spesso, per un miglio di avanzamento, bisogna farne tre o quattro di scarroccio. Ma la notte del 6 gennaio, una violenta tempesta squassa la nave, che “perde tutta la manovra e vele, eccetto gli alberi e pennoni maggiori e bompresso”. Improvvisamente un fortissimo colpo di mare la fa sbandare, la nave regge all’urto, il Capitano viene sbattuto contro una fiancata, si frattura la “scapola sinistra del braccio” e per conseguenza deve affidare il comando al valente pilota Federico Montechiaro, anche lui diplomato al Collegio Nautico di Palermo. Su quei brutti momenti diamo la parola a Giuseppe Coglitore, che, nel 1856, ne scrisse nel suo libro “Vincenzo Di Bartolo: Cenno storico”: quegli uomini “furono travagliati dal freddo tale che il termometro di Fahrenheit segnava al di sotto del 12° (cioè -11° C, ndr) e… dopo 22 giorni di sofferta disgrazia, approdavano in Boston, in mezzo ad un turbine pel quale molti legni ruppero in quella spiaggia. Destò in tal porto meraviglia e commiserazione l’Elisa sdrucita, priva dell’opera morta e quasi dell’intera manovra, e venne lodata, da’ Capitani delle navi nazionali e straniere che colà trovavansi, la perizia con la quale il di Bartolo ed il pilota di lui seppero in tanta avaria recare in salvo il bastimento. Rifatto, il Capitano scaricò le merci; risarcí il legno dei danni sofferti, e, munito d’ampie facoltà dal Signor B. Ingham, nipote del padrone dell’Elisa, che ivi trovavasi, si apparecchiò a mandare in esecuzione il pensiero di costui, dirigendosi per Sumatra, nelle Indie Orientali a prendervi un carico di pepe nero”. Spazi abissali di tempo felici, Ah, tiempo bello…, Sî squagliato ampresso! (F. Russo), quando i duosiciliani si recavano all’estero solo per affari e non perché costretti da governi nemici ad emigrare, ad abbandonare la patria in cui da migliaia di generazioni sono sepolti gli antenati. Ah mannaggia Calibarde,…// ‘Uh, mannaggia lu sissanta! (F. Russo). Ah, mannaggia ê traditure.

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