Il corricolo è sinonimo di calessino; ma, dato che non esistono sinonimi perfetti, spieghiamo la differenza tra corricolo e calessino.
Il corricolo è una specie di tilbury primitivamente destinato a contenere una persona e ad esser tirato da un cavallo; vi si attaccano due cavalli e trasporta da 12 a 15 persone.
E non si creda che vada al passo, come il carretto trainato da buoi dei re franchi, o al trotto come il biroccino della regía; no, va di triplo galoppo; è il carro di Pluto che rapiva Proserpina sulle sponde del Simeto non era piú ratto del corricolo che solca le strade di Napoli facendo sprizzar scintille dal selciato di lava e sollevando nugoli di cenere.
Eppure un solo de’ due cavalli tira veramente, ed è il timoniere. L’altro, detto bilancino, e che è attaccato di fianco, balza, caracolla; eccita il suo compagno, ed ecco tutto. Quale iddio gli ha concesso, come a Titiro, cotanto riposo? È il caso, è la provvidenza, è la fatalità: i cavalli, come gli uomini, hanno la loro stella.
Abbiamo detto che siffatto corricolo, destinato a una persona, ne trasporta abitualmente dodici o quindici; ciò — lo comprendiamo bene — richiede una spiegazione. Un vecchio proverbio francese dice: «quando ce n’è per uno, ce n’è per due». Ma non conosco nessun proverbio in nessuna lingua che dica: «quando ce n’è per uno, ce n’è per quindici».
E invece per il corricolo è proprio così, tanto nelle civiltà progredite ogni cosa è distolta dalla sua primitiva destinazione!
È impossibile determinare con precisione come e in quanto tempo si sia formato, sul corricolo, tale agglomerato successivo d’individui. Contentiamoci, dunque, di dire come vi si mantenga.
Prima di tutto, e quasi sempre, un grosso monaco è seduto in mezzo e forma il centro dell’agglomerato umano che il corricolo trascina come uno di quei turbinii di anime che Dante vide, dietro un grande stendardo, nel primo cerchio dell’inferno. Il monaco sostiene su uno dei suoi ginocchi qualche fresca nutrice di Aversa, e sull’altro qualche bella contadina di Bacoli o di Procida; ai due lati del monaco, fra le ruote e la cassa, si tengono in piedi i mariti di quelle signore. Dietro il monaco si rizza sulla punta dei piedi il proprietario o il conducente dell’equipaggio, che ha nella mano sinistra le redini e nella destra una lunga frusta con la quale imprime una eguale velocità all’andatura dei due cavalli. Alle spalle di costui si aggruppano, come gli staffieri delle buone famiglie, due o tre lazzaroni, che salgono, scendono, si succedono, si rinnovano, senza percepire alcun salario per la loro prestazione di servizio. Sulle due stanghe sono seduti due monelli raccolti sulla strada di Torre del Greco o di Pozzuoli, ciceroni in sopranumero delle antichità di Ercolano e di Pompei, guide brunite dei ruderi di Cuma e di Baia. Finalmente, sotto l’asse della vettura, fra le due ruote, in un reticolo a grosse maglie, che sbatte dall’alto in basso e dal lungo in largo, brulica qualcosa d’informe che ride, piange, grida, grugnisce; che si lagna, che canta, che sogghigna, ma che è impossibile distinguere nel polverone sollevato dagli zoccoli dei cavalli: sono tre o quattro bambini che appartengono non si sa a chi, che vanno non si sa dove, che vivono non si sa di che, che sono là non si sa come, e che vi restano non si sa perché.
Ora, mettete in colonna monaco, contadine, mariti, conducenti, lazzaroni, monelli e bambini: addizionate il tutto, aggiungendo il poppante dimenticato, e avrete il conto giusto. Totale: quindici persone.
Talvolta succede che il fantastico congegno, sovraccarico com’è, passa su una pietra smossa e si rovescia: allora tutta la carrozzata si sparge sugli orli della strada, ognuno lanciato secondo il suo maggiore o minore peso. Ma tutti si rialzano subito e dimenticano il loro accidente per occuparsi soltanto di quello del monaco: lo tastano, lo girano, lo rigirano, lo sollevano, l’interrogano. Se è ferito, il viaggio si sospende; il monaco viene trasportato, sostenuto, coccolato, coricato, vegliato. Il corricolo è posto in un angolo del cortile, i cavalli nella scuderia, e per quella giornata il viaggio è finito: pianti, lamenti, preci. Ma se, invece, il monaco è sano e salvo, tutti stanno bene: il frate risale al suo posto, la nutrice e la contadina ripigliano il loro; ognuno si sistema, si aggrappa, si stipa, e, al solo grido di incitamento del cocchiere, il corricolo riprende la sua corsa, rapido come la folgore e infaticabile come il tempo.
Ora Napoli, a prescindere dai dintorni, si compone di tre strade in cui si va sempre e di cinquecento strade in cui non si va mai. Le tre strade si chiamano Chiaia, Toledo e Forcella. Le altre cinquecento non hanno nome: sono l’opera di Dedalo, il labirinto di Creta, con il minotauro in meno e i lazzaroni in piú.
Vi sono tre modi per visitare Napoli:
A piedi, in corricolo, in calesse.
A piedi, si passa dovunque.
In corricolo, si passa quasi dovunque.
In calesse, si passa soltanto per le strade di Chiaia, Toledo e Forcella.
Di camminare a piedi non m’andava a genio: a piedi si vedono troppe cose.
Di andare in calesse nemmeno: in calesse non se ne vedono abbastanza.
Rimaneva il corricolo, termine medio, giusto mezzo, anello intermedio che riuniva i due estremi.
Mi fermai dunque al corricolo.
– Mio caro ospite Martino – ho deciso nella mia saggezza di visitare Napoli in corricolo. – Magnifico! – disse Martino – Il corricolo è una vettura nazionale che risale alla piú alta antichità. È la biga dei Romani e vedo con piacere che apprezzate il corricolo.
– Soltanto vorrei sapere quanto è il nolo di un corricolo al mese.
– Non si noleggia a mese un corricolo – mi rispose Martino. – Allora, a settimana.
– Non si noleggia a settimana un corricolo.
– Ebbene, a giornata.
– Non si noleggia a giornata un corricolo.
– Come si noleggia il corricolo?
– Ci si sale dentro quando passa e si dice: «Per un carlino». Finché il carlino dura, il cocchiere vi porta a spasso; consumato il carlino, vi sbarca. Volete ricominciare? Dite: «per un altro carlino»; il corricolo riparte, e così di seguito.
– Ma, mediante quel carlino, si va dove si vuole?
– No, si va dove il cavallo vuol andare. Il corricolo è come il pallone: non s’è trovato ancora il modo di dirigerlo.
– Ma allora, perché si va in corricolo?
– Per il piacere di andarci.
– Come! È per il loro piacere che quegli sciagurati si stipano in quindici in una vettura dove in due già si sta scomodi?
– Non per altra cosa.
– È originale!
– Ed è proprio così.
– Ma se io proponessi a un proprietario di corricoli di noleggiare uno dei suoi trabaccoli a mese, a settimana o a giornata?
– Rifiuterebbe.
– Perché?
– Non c’è l’abitudine.
– La prenderebbe.
– A Napoli non si prendono abitudini nuove: si conservano le vecchie………
(di Alessandro Dumas 1841)

Che meraviglia questo corricolo
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